Valentino Pautasso e le sue due ore in bici zen

 

La falegnameria è un luogo fatto di estremi. Per capirlo bisogna passarci un po’ di tempo: il cliente che ci passa per un veloce appuntamento non può capirlo. Un minuto il rumore è assordante e ti spacca letteralmente le orecchie, quello dopo il silenzio ti catapulta in un mondo fatato dove entra in gioco l’olfatto e vieni travolto dai vari profumi di tutte le essenze di legno. Si passa dalla calma piatta alla tempesta in un click, e viceversa. Un po’ come la vita, a voler ben vedere.

Quella di Valentino è una storia normale, di un ragazzo normale all’interno di una vita normale.
E, come tutte le vite normali, hanno all’interno delle situazioni eccezionali. Spesso da dentro è difficile rendersene conto: c’è bisogno di un occhio esterno per riconoscerle.
È di queste normali eccezionalità che vogliamo parlarvi.

Un’infanzia come tante, quella di Valentino. La mattina a scuola, il pomeriggio tra i compiti e gli allenamenti di calcio, ma appena ha un minuto si fionda in bottega dove suo papà assembla e restaura mobili. «È così che ho iniziato ad appassionarmi al mondo del legno: passavo il tempo facendo buchi, semplici buchi, su normalissime assi di legno. Non mi era concesso altro, ma a me bastava». Il papà a parlare con i clienti e lui lì, in disparte, a giocare con i suoi attrezzi preferiti.

C’è però l’adolescenza e quel momento in cui, forse più per ribellione che per altro, ti immagini un futuro distante da ciò che vivi o che vivono i tuoi genitori. Così chi cresce in una famiglia di agricoltori sogna un lavoro in giacca e cravatta in metropoli e, viceversa, chi nasce in downtown pensa che siano solo ore sprecate quelle passate davanti a un pc e decide che una vita degna di essere vissuta sia a contatto con la natura. È successo a tanti, Valentino incluso.

Ma non sei tu a scegliere la strada: è la vita che sceglie te.

Valentino diventa papà presto, prestissimo, considerando le nostre abitudini. A 19 anni dover avere la responsabilità di un figlio è una cosa che ti travolge. Inutile pensare di cambiare la propria sorte, tanto vale accettarla e rimboccarsi le maniche. Quel lavoro che «mai e poi mai avrei voluto fare» inizi a capire che forse non è così male. Ci provi, ti appassioni, e non lo lasci più.

«Ci vuole tempo, tanto tempo, per poter dire di essere diventati bravi. Solo dopo i 10 anni di pratica costante si inizia a capire come funziona davvero questo mestiere». Tante tipologie di legno, tante lavorazioni e poi tutte le richieste specifiche per i mobili su misura. Basta passare un pomeriggio tra segatura, frese e attrezzi vari per rendersi conto di quanta dedizione è necessaria per imparare.

«La bici nella mia vita è diventata indispensabile. Un momento che mi piace definire zen. Ho passato la mattinata impazzendo al lavoro su piccoli intarsi? È il momento di andare. Un cliente mi chiede un mobile particolare e devo farmi venire un’idea? Inutile ragionarci tra quattro mura: è il momento di andare. Abete o ciliegio? Mogano o Faggio? La risposta verrà da se: è il momento di andare. Questo lavoro è troppo impegnativo e il preventivo è troppo basso. Ma se poi lo alzo il cliente lo accetterà? È decisamente il momento di andare».

Quelle due ore diventano le tue due ore, fondamentali, guai a chi le tocca.


Certe volte si esce la mattina presto e si va in falegnameria in bici, anche se le temperature sono spesso polari: «nonostante ciò non copro mai le orecchie perché quello schiaffo di aria gelida mi serve come sveglia». Il Piemonte occidentale, a ridosso delle Alpi, non è caldo d’inverno, soprattutto la mattina, potete starne certi.
Se c’è una cosa che accomuna tutti i ciclisti del mondo è il susseguirsi di rituali quotidiani, dalla mattina presto fino alla sera tardi. «Arrivare in falegnameria e concedersi un caffè nel silenzio mattutino è una sensazione impagabile. Mi piace berlo ancora vestito da bici, lontano da tutti e soprattutto dal telefono. Tiro via solamente i guanti perché adoro sentire il calore ustionante della tazza».

Altre volte invece si pedala in pausa pranzo: «preferisco godermi due ore in tranquillità piuttosto che dividermi tra pranzo e sonnellino. Di certo non patisco se mangio una cosa al volo prima di riaprire la bottega. Mettiamola così: fra tutte le paure che possiamo avere di certo non c’è quella di morire di fame». Il sole è più alto e quindi è più semplice avventurarsi su sentieri non battuti con la bici gravel. E così via tra mangia e bevi immersi nei vitigni: siamo nella zona del Roero e qua il vino è una religione. Nebbiolo, Barbera, Arneis, Dolcetto: Valentino è un local e sa praticamente che uva viene coltivata su ogni collina e di quale azienda si tratta. «In questi casi mi vesto, come diceva mia nonna, a cipolla: in salita è sempre meglio aprirsi un po’ e in discesa è necessario coprirsi quel tanto che basta prima di tornare a salire».
«Ogni tanto, in quei pochi giorni in cui il lavoro mi lascia un po’ tranquillo, trovo anche il momento di fermarmi cinque minuti. Due chiacchiere con qualcuno, un caffè, o qualche semplice respiro su una balla di fieno mi servono per ricaricarmi».

Infine ci sono le uscite pomeridiane post lavoro, quelle dove c’è un altro rituale da seguire: «spengo praticamente tutte le luci della falegnameria, così l’atmosfera si fa più intima, quasi ovattata. Scelgo i vestiti giusti, in silenzio. Mi travesto da supereroe praticamente. È una sensazione strana, ma tutti quanti abbiamo bisogno di abbandonare Clark Kent e diventare Superman ogni tanto».
Basta una luce per farsi vedere e si può rientrare a casa anche di notte: da queste parti è più rischioso incontrare un cinghiale che un’auto, se sai scegliere il percorso giusto. «Ogni tanto porto con me la tenda e mi fermo a dormire sulla cima di qualche collina. Magari sono solo a 30 chilometri da casa, ma chi l’ha detto che bisogna andare dalla parte opposta del mondo per trovare l’avventura? Spesso viene anche mio figlio ed è un’esperienza ogni volta indimenticabile».

Questa è la storia di Valentino e della falegnameria Pautasso. Una storia apparentemente normale ma che nasconde un lato come sempre eccezionale.


A noi l’ha raccontata su e giù tra le sue colline, in sella per un paio d’ore.


Le sue due ore.