L’IMPREVISTO CHE MIGLIORA LA VITA. Non tutto il male viene per nuocere, si dice. Lei è Giulia Fissore e queste sono le sue due ore.

Capita a tutti, prima o dopo. Inizialmente ci sono le grida, i pianti, l’umore sotto ai piedi. Il vicolo non è cieco, di più. Poi accetti che ciò è successo, ti si apre uno spiraglio, cambi qualche abitudine e vedi che quella che sembrava una tragedia in realtà così tragedia non è. Rimangono il dispiacere e gli strascichi del problema ma si è aperto un nuovo punto di vista: nonostante la situazione non idilliaca, ti trovi in un mondo che prima mai avresti immaginato. Non tutto il male viene per nuocere, si dice, e tutto d’un tratto il futuro è anche più piacevole del passato.

 

«Sono cuneese, di Morozzo precisamente. Un paesino di pochi abitanti e non so bene cosa abbia spinto me e altre mie amiche a cercare lavoro poco oltre il confine, a Tenda. Siamo infermieri, OSS, personale tecnico o delle cucine e abbiamo attraversato il Colle di Tenda qualche anno fa dove tanti si chiedono come sia possibile che ci sia un ospedale».

Una professione normale, sveglia la mattina presto, saltare in auto, il tunnel per passare il confine e via in ospedale. Nulla di strano, nulla che non capiti alla maggior parte delle persone. «Il 2 ottobre 2020, però, ha stravolto il nostro quieto vivere transfrontaliero.»

 

La Tempête Alex è arrivata inaspettata e ha spazzato via interi versanti delle montagne, i ponti e la strada che sale al Colle, impedendo a chiunque di viaggiare tra casa e lavoro. Mai, in poche ore, era piovuta così tanta acqua nella zona al confine con la Francia. La valle che negli anni era stata come una seconda casa ha cambiato connotati e si è ritrovata più isolata di quanto già non fosse. Scoraggiamento, lacrime, disperazione.

«É stato chiaro fin da subito che, per non perdere il lavoro, avremmo dovuto trovare il modo per raggiungerlo». Dopo qualche settimana la linea ferroviaria è stata in parte ripristinata, ma le sole due corse al giorno non combaciavano mai con gli orari lavorativi. L'arrivo dell’inverno non è di certo stata una manna dal cielo, anzi: le generose e frequenti nevicate hanno bloccato ancora di più gli spostamenti. Ma al disgelo qualcosa è cambiato e la primavera si è dimostrata davvero la stagione della rinascita. «Troviamo un sentiero e andiamoci in bici!»

Si chiama Route des 46 lacets, una strada in parte sterrata, accidentata, ma tutto sommato in buono stato per la bicicletta. Prima del traforo del 1882 era la via più diretta per superare il colle e scendere in Valle Roya. Negli ultimi anni era percorsa solo da gente del posto per andare a prendere un po’ di fresco in gite domenicali o per raggiungere i pascoli. In meno di 8 chilometri si snodano 46 tornanti, prima ampi e panoramici, poi fitti da capogiro, per poi approdare su quel che resta della strada del Colle di Tenda. Da qui si prosegue tra buche, ghiaia e cantieri fino all'ospedale, per un totale di 17 chilometri.

 

Spesso si porta la macchina sul passo e si scende direttamente a Tenda in bici. Potrebbe sembrare una passeggiata, ma non lo è. «Al ritorno sono più di 1000 metri di dislivello che, dopo turni da 12 ore, non sono uno scherzo.»

Non tutti erano dei ciclisti. «Io sono un’amante degli sport e la montagna è il mio habitat naturale. Ma, se devo essere sincera, la bici non era un’attività a cui mi dedicavo costantemente. Qualche uscita qua e là, ma nulla di più. Lentamente però mi sono sentita sempre più a mio agio e ho trovato maggior piacere in sella».

 

Contagiati dall'entusiasmo e dai racconti dei colleghi più avventurosi, in estate altri colleghi o semplici transfrontalieri si sono avvicinati alla bicicletta per la prima volta, incuranti del parere di famigliari scettici su preparazione o equipaggiamento, ignorando che, presto, sarebbe diventato un momento irrinunciabile.

C’è chi vede il dirigersi a lavoro come una fonte stress, tra semafori, code e clacson che suonano già alle prime ore del giorno. Questo tragitto si è invece trasformato in un piccolo viaggio, da soli o in compagnia, al caldo o sotto a un temporale. La bici ha reso speciale ciò che, in altre situazioni, sarebbe un incubo. «In sella ho trovato le mie due ore.»

Giulia adesso ha anche un appartamento a pochi chilometri dall’ospedale. Il che si traduce non più solamente in pedalate andata e ritorno per l’Italia, ma anche in uscite durante la pausa lavorativa o a fine turno. «Da quando la bici è entrata a fare parte della mia vita in maniera così prepotente, non riesco più a farne a meno. Appena ho due ore salto in sella e vado, certe volte anche solo pochi tornanti bastano per staccare la mente e farmi stare meglio. Mi piace poi pensare che di tutto questo vissuto abbiano beneficiato alla fine anche i pazienti, perché se sei felice e sai cogliere le giuste vibrazioni in quello che vivi, puoi trasmetterle ad un altro, prendendoti cura di lui».

 

Il disastro dell'alluvione poteva indurre chiunque a fare un passo indietro e a rivalutare un lavoro comodo sotto casa, ma non è stato così. «Da quello che poteva essere un disastro per la nostra vita professionale, è nato un pretesto per salire in bici una volta in più. Un modo di adattarsi alla situazione».

Potrebbe venire facile chiedersi il perché. Perché restare in una vita ricca di imprevisti, a cavallo tra due Paesi. Perché non trovare una soluzione alternativa, più agiata. Perché questo incaponirsi nonostante le evidenze siano scoraggianti.
«Le montagne per chi le vive non sono un ostacolo, ma motivo di unione. In sella abbiamo trovato, ancora una volta, la risposta.»